Nina - undicesima puntata

La scena è di nuovo quella di Follettandia. Sono all’ombra di un grosso albero, seduto insieme al folletto che mi portò in giro la volta scorsa, ogni tanto prendo una prugna dal cestino che ha messo a terra, in mezzo a noi. Il vento soffia leggero, vorrei dormire a lungo, ma il folletto continua a parlare, a darmi spiegazioni; io non gli ho chiesto niente, ma appena siamo arrivati i due folletti gli si sono messi intorno a raccontargli tutto, e adesso lui si sente in dovere di essere esauriente.
«Ti sarai chiesto chissà quante volte perché tanta agitazione intorno a quelle biglie». È vero, me lo sono chiesto. Ma adesso sto ad occhi chiusi a godermi la brezza, ascolto la sua voce conciliante in attesa del sonno.
«E ti sarai chiesto chi è che può arrivare ad impugnare una pistola per delle biglie di vetro». Lo sento afferrare a sua volta una prugna.
«Vedi, per me sarà difficile spiegartelo almeno quanto lo sarà per te comprenderlo. Vuoi che ci provi lo stesso?».
«Uhm Uhm» grugnisco. Sento con soddisfazione che sto per abbandonare lo stato di veglia.
«Va bene, allora» e mi dà una pacca sulla coscia che mi fa sobbalzare dallo spavento. Riapro gli occhi con uno scatto e vedo la sua faccia bonaria, ben disposta a raccontarmi tutto tutto tutto. Gli lancio uno sguardo terribile - che dice: “perfido nano!” - spero che afferri al volo. Poi torno a stendermi, chiudendo di nuovo gli occhi, e gli faccio:
«Dimmi, dimmi pure. Non ti interromperò».
Mi pare di vederlo annuire con aria compiaciuta, poi lo sento dire: «cominciamo da qui: non siamo nani. Siamo folletti. I nani sono bellicosi ed egoisti, e hanno grossi elmi cornuti sulla testa. Noi invece siamo pacifici e solidali. Ci siamo?».
Annuisco, tra la veglia e il sonno. «Bene - continua lui -. Ti spiegherò le cose dall’inizio» ma poi si interrompe di nuovo, lo sento alzarsi e dire:
«Anzi, facciamo così» e mi lascia cadere senza troppi riguardi il cestino sulla pancia, facendomi saltare di nuovo per lo spavento «ti parlerò strada facendo. Ti va di farti un giro?» Sono sconfitto. Registro il fallimento e mi alzo in piedi, prendendo il cestino sottobraccio.
«Seguimi». Sbadiglio, esasperato, un’ultima volta, poi vado con lui al fiume, dove mi fa salire su una grossa zattera. Cominciamo a scendere dolcemente, lui parla e la sua voce va su e giù insieme alla corrente.
«C’è una casa in cima al monte» mi dice «si chiama la casa dei sogni. Non è raggiungibile a piedi, l’unico modo per arrivarci è il treno che passa dall’altra parte del lago. È lì che teniamo le biglie, e le custodiamo a turno. Quest’anno il turno è dei folletti che ti hanno rapito. Gli altri ti hanno già raccontato come sono state rubate. Ma il problema adesso non è stabilire di chi è la colpa, non ci importa neanche di punire l’uomo che le ha prese. Noi rivogliamo solo le nostre biglie, perché...» Fa una pausa. Sta riorganizzando le idee, cerca le parole adatte. Quindi aggiunge:
«Nelle biglie ci sono i sogni e i desideri di tutti i folletti».
È come un’esplosione; sono accecato, non lo vedo più. Come strappare un velo che copriva il sole. Gli occhi mi bruciano, li strizzo dal dolore, più li strizzo più mi fanno male, e sento il folletto che mi dice:
«Asciugati gli occhi con le mani». Che volete: sarà stata l’emozione, o l’acqua del fiume che mi è schizzata in faccia, non lo so. Ma qualcosa l’ho capito di certo: a Follettandia i sogni si avverano. I folletti sognano – me l’ha spiegato lui o l’ho capito da solo? Non lo so più perché intanto lui continua a parlare e a spiegarmi, ma io lo sento come in sottofondo – e mettono i sogni nelle biglie, poi li portano alla casa dei sogni e lì li conservano in attesa che si avverino. Sono i sogni che rivogliono indietro, non le biglie di vetro. Lui continua a parlare, ma la mia mente è su tutt’un altro binario. Sono diventato pensieroso, me ne accorgo quando s’interrompe per qualche secondo e poi mi dice:
«Lo so a cosa stai pensando».
Facile a indovinarsi. Ma quando abbassa lo sguardo capisco che ci sono delle brutte nuove.
«Non possiamo realizzare anche i tuoi. Te l’ho detto, i custodi delle biglie sono loro, e sono loro a decidere chi può salire sul treno e quando, noi non siamo più in buoni rapporti a causa di quell’incidente della televisione...» Ma capisco bene che è solo una scusa. In realtà non si può permettere tanto facilmente a un uomo di venire a Follettandia e realizzare i suoi sogni. In un modo o nell’altro, Follettandia verrebbe inondata di gente a cui manca qualche cosa. Lo capisco e per questo non insisto. Ma non smetto di pensarci. Devo aver detto qualcosa a proposito dell’uomo in nero, perché sento il folletto rispondermi:
«Rubare i sogni degli altri è l’unico sogno di chi non sa sognare».
Una massima da rifletterci cent’anni in un monastero tibetano.
Ma in questo momento ho troppe cose a cui pensare. Per la testa mi rifrulla tutto quello che ho sentito in questi giorni, sono confuso. Televisione, cuffie, biglie di vetro, sogni da folletto, l’uomo in nero – che se ne fa un uomo dei sogni dei folletti? –, la spilla con il mappamondo, cuffie per la televisione, sogni rubati, chi non sa sognare, la televisione, l’ultima risorsa di chi non sa sognare, la televisione, la televisione. La televisione.
«Ferma qui» quasi urlo mentre afferro il folletto per le spalle e lo guardo con gli occhi sbarrati. Il fiume scorre piano, scendiamo insieme a lui. Tutt’intorno è silenzio, si sente solo la mia voce:
«Devo tornare subito a casa».


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