Nina - terza puntata

Mi risveglio al suono sordo di un cucchiaio di legno contro una pentolaccia di rame. Nel rialzarmi a sedere sul letto vedo un grosso viavai di folletti attraverso l’unica entrata della casetta in cui mi trovo, tutti intenti a reggere con entrambe le mani delle tazze di ceramica colme di una bevanda fumante.
Di lì a poco si trovano seduti in cerchio lungo le pareti della casetta. Io sto in un angolo; un folletto senza barba, con un grembiulino sulle gambe e due trecce che terminano in altrettanti fiocchetti colorati, mi porge una tazza.
«Bevi pure» dice uno di loro, seduto di fronte a me. Bevo. Un giorno ci sarà occasione per dirgli che questa tisana è una ciofeca disgustosa e che se continuano a berne non cresceranno mai. Ma per ora taccio e loro – parlando uno dopo l’altro, senza sovrapporsi mai – ne approfittano per spiegarmi quanto segue:
1. I folletti sono alti pressappoco settanta centimetri, e si dividono in maschi e femmine; i maschi portano la barba lunga, le femmine hanno le cigliette e le treccine.
2. I folletti vivono completamente separati dagli uomini, nella città di Follettandia; nessuno può raggiungere la città se non è invitato da un folletto, e nessun folletto può uscirvi se non è invitato da un uomo.
Non so se è più pazzesco quello che mi dicono, o il fatto che siano loro a dirmelo, mentre io resto ad ascoltarli.
Poi continuano a spiegarmi (ch’io possa non aver capito sembra non preoccupare nessuno): sono qui perché mi ci hanno portato loro; cercavano un’altra persona, non me. Quando ti affacci da una delle finestre di Follettandia sul mondo degli uomini hai sempre una visione sfocata, confusa. Ecco perché.
«Abbiamo un problema». E via con un’altra fine spiegazione: l’uomo che cercano è stato condotto a sua volta a Follettandia per sbaglio, ha rubato le loro biglie e ora loro devono recuperarle a tutti i costi. Il mio compito è questo: devo introdurli nel mondo degli uomini e guidarli nella ricerca.
«Uhm uhm» dico distrattamente. Sono sceso dal letto, mi allaccio le scarpe. «Vorrei tornare a casa» dico poi, come se non mi avessero parlato affatto. «Mi chiamereste un taxi?».
«Nessuno può costringerti a rimanere, nessuno può costringerti ad andartene» sentenzia uno. La folletta che mi ha servito la tisana mi guarda timorosa con i suoi occhioni da bambina. La mia mente si ferma un attimo a calcolare questa possibilità: è ragionevole tentare di spiegare a questi gnomi che non si può raccontare al primo venuto una storia per quanto commovente di biglie rubate con un tono da libro giallo? Poi, all’improvviso, mi si accende un dubbio: forse a Follettandia il furto di biglie è un reato capitale? Ma io ho già deciso; il folletto che ho davanti se ne accorge e mi indica una porta alle sue spalle.
«La finestra sul mondo degli uomini è lì; oltre quella soglia ti ritroverai a casa». Mi slancio verso la porta e l’apro di colpo. È un ripostiglio vuoto, completamente buio. Mi volto a guardare il folletto con diffidenza, ma anche con curiosità.
«Non preoccuparti del buio» mi dice «è che adesso nel mondo degli uomini è notte». Chissà perché questa spiegazione mi dà coraggio. Mi getto nel ripostiglio ad occhi chiusi, e precipito al buio per chilometri e chilometri.


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