Nina - quattordicesima puntata

Sono esausto. Sulla strada di casa, quasi barcollo. Non desidero nient’altro che stendermi sul divano nella mia posizione preferita, con una gamba sulla spalliera e un piede per terra. Ma qui non siamo a Follettandia per cui, ne sono certo, anche questo sogno non si realizzerà.
È come un presentimento. Sto per salire l’ultimo gradino della scala che porta al pianerottolo del mio appartamento (a sinistra, in fondo al corridoio), quando vedo con la coda dell’occhio tre ombre allungarsi fino a me. Mi immobilizzo un istante, provo a pensare alla cosa migliore da fare; ma, siccome non mi viene in mente niente, salgo il gradino e mi volto a sinistra. Di fronte a me, davanti alla porta di casa mia, ci sono i tre folletti dagli occhiali scuri che ho già incontrato (in realtà le tre ombre si allungavano fino a me solo per modo di dire; più che altro, è il corridoio che è corto).
D’istinto, senza pensarci, faccio il gesto consueto: metto una mano in tasca per prendere le chiavi; e in un movimento solo la tiro fuori. È come una di quelle scene da film, in cui sembra che il tizio stia per estrarre la pistola dall’impermeabile e invece si ritrova in mano le chiavi di casa.
Quindi, come la vedo io, non dovrebbe succedere niente; e invece mi sparano. Mi ritrovo disteso orizzontalmente nel corridoio, in una tipica postura da pelle di leopardo (l’unico dettaglio che in questo momento mi distingue da un simile tappeto è la posizione della faccia, con un orecchio che ausculta il pavimento e l’altro che spera non si metta a piovere).
Per fortuna, mi mancano tutti e tre. Non è difficile capire cos’è successo: nel mettere la mano in tasca non ho preso le chiavi, come immaginavo, ma proprio la pistola che continuo a portarmi appresso e non ho ancora avuto occasione di buttar via.
«Ehi, ragazzi» dico rialzandomi lentamente e abbandonando la pistola a terra «non vi aspettavo così presto». Il folletto al centro ha in mano una valigetta che è più grande di lui. E mi fa:
«C’è stato un piccolo cambiamento di programma. Non abbiamo un minuto da perdere».
Entriamo subito. Mi dirigo direttamente verso il televisore, l’accendo, mostro loro i programmi di Mondo TV. La cosa va avanti per un quarto d’ora. Quando ne hanno abbastanza, il solito folletto mi dice:
«Va bene. E adesso facci vedere come si fa». Gli illustro il funzionamento del videoregistratore e l’uso delle videocassette. Registro qualcosa a caso e glielo faccio rivedere. Il folletto mi guarda con aria soddisfatta e prende da una tasca una videocassetta trasparente. Prova a registrare anche lui, poi estrae la cassetta e la guarda in controluce, dicendo:
«Da qui sarà più facile riempire le biglie».
Non gli chiedo spiegazioni, anche perché sto pensando a tutt’altro. E non smetto di pensarci fino a che non mi dice: «veniamo a noi» facendo scattare le serrature della valigetta. Quando si volta verso di me ha in mano un cartoncino rettangolare e una grossa biglia diafana. Me li porge.
«Come d’accordo» dice.
Come d’accordo, infatti. Non starò qui a perdermi in spiegazioni su come e perché ho contattato proprio loro: era uno dei modi per restituire i sogni ai folletti, ed era l’unico per realizzare il mio. Rimango a guardare la biglia e il talloncino nelle mie mani per chissà quanto tempo, finché a un certo punto il folletto mi ingiunge:
«Sbrigati. Il treno passa tra venti minuti».


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